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Indennità di accompagno, anche senza carta di soggiorno

Corte Costituzionale: "non si possono discriminare gli stranieri stabilendo nei loro confronti particolari condizioni" Roma, 31 luglio 2008 – Se regolarmente residenti in Italia, gli immigrati hanno diritto all’indennità di accompagnamento anche se non hanno il reddito minimo stabilito per avere la carta di soggiorno. L’accesso a tale servizio dovrà essere loro consentito a parità di condizioni con i cittadini italiani, ovvero in caso di uno stato di salute che rende totalmente inidonei al lavoro e impedisce di produrre un reddito sufficiente per mantenersi. Uno stato tale, insomma, da rendere necessaria l’assistenza continuativa.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale dichiarando l’illegittimità di alcuni articoli del Testo unico sull’immigrazione e della Finanziaria 2001, nella parte in cui – appunto – escludono che l’indennità di accompagnamento possa essere concessa agli stranieri extracomunitari che non hanno i requisiti di reddito già stabiliti per la carta di soggiorno.

I giudici della Consulta hanno così ritenuto fondata la questione sollevata dal tribunale di Brescia, in merito alla controversia tra l’Inps, il ministero delle Finanze, e un’immigrata albanese. La donna, sposata e con due figli minorenni, residente in Italia da più di sei anni, nel 2005 aveva fatto domanda per l’indennità di accompagnamento, visto che un incidente stradale l’aveva ridotta in coma vegetativo. Tuttavia l’Istituto nazionale di previdenza sociale – seguendo la parte contestata della normativa vigente – aveva respinto la richiesta.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 306, ha ritenuto che “sia manifestamente irragionevole subordinare l’attribuzione di una prestazione assistenziale quale l’indennità di accompagnamento, i cui presupposti sono la totale disabilità al lavoro, nonché l’incapacità alla deambulazione autonoma o al compimento da soli degli atti quotidiani della vita, al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia che richiede per il suo rilascio, tra l’altro, la titolarità di un reddito”.

Tale “irragionevolezza – osserva la Consulta – incide sul diritto alla salute, inteso anche come diritto ai rimedi possibili e, come nel caso, parziali, alle menomazioni prodotte da patologie di non lieve importanza”. Per questo, le norme impugnate contrastano “non soltanto con l’articolo 3 della Costituzione (sull’uguaglianza e sul divieto di discriminazione), ma anche con gli articoli 32 (sulla salute) e 38 (sull’assistenza sociale), nonché, tenuto conto che quello alla salute è diritto fondamentale della persona, con l’art. 2 della Costituzione (sui diritti dell’uomo)”.

I giudici affermano che una volta che il diritto a soggiornare alle condizioni stabilite non sia in discussione “non si possono discriminare gli stranieri stabilendo nei loro confronti particolari condizioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini”. L’indennità di accompagnamento, sottolinea la sentenza della Consulta, “rientra nelle prestazioni assistenziali e, più in generale, concerne la sicurezza sociale”.

Inoltre, la normativa censurata viola l’articolo 10, primo comma, della Costituzione, “dal momento che tra le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute – conclude la sentenza – rientrano quelle che, nel garantire i diritti fondamentali della persona indipendentemente dall’appartenenza a determinate entità politiche, vietano discriminazioni nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato”.

Antonia Ilinova

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